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Prosopon, una installazione a Miano di Nicholas Tolosa

Domenica 22 Gennaio 2023, in via Trentino (Quartiere Miano-Napoli), si inaugura, alle ore 16,00, l’installazione permanente di un’opera pittorica di Nicholas Tolosa. Il dipinto, di importanti dimensioni (383x647cm) e dal titolo “Prosopon” fa parte della trilogia di opere che saranno realizzate per il progetto “Studio come opera d’arte”.

La mostra è curata da Ivan D’Alberto.

Per partecipare all’evento è necessaria la prenotazione al seguente indirizzo di posta elettronica: progettiartisticoculturali@gmail.com

e-mail: nicholastolosa@tiscali.it
sito web: http://nicholastolosa.jimdo.com
facebook: https://www.facebook.com/TolosaNicholas
instagram: https://www.instagram.com/nicholastolosa

 

Testo di Ivan D’Alberto

Prosopon|un’opera dal cielo per il Cielo

Nicholas Tolosa ci invita a guardare le cose da un altro punto di vista…

Nel 1961 ad Herning, in Danimarca, Piero Manzoni realizza la “Base del mondo”, un parallelepipedo di un metro per ottanta centimetri con un’iscrizione capovolta in cui si legge “Socledumonde, soclemagique n. 3, hommageà Galileo”. Un piedistallo che, rivolto al suolo, sostiene il globo terrestre che diviene così opera d’arte. In questo modo, secondo la visione manzoniana, tutto ciò che si trova sulla Terra va considerata un’opera unica[1].

La rivoluzione del padre fondatore dell’arte concettuale italiana è proprio nella capacità di offrire un punto di vista alternativo, di porre l’osservatore nella condizione di confrontarsi, in maniera del tutto nuova, con l’oggetto d’arte.

Interventi come la “Base del mondo” possono essere inseriti in tutta quella produzione, in cui il fruitore e l’opera sono parte di uno stesso spazio, condividono lo stesso ambiente perché entrambi parte di esso. È una scelta che scardina totalmente le logiche del processo di musealizzazione dove l’oggetto diventa “feticcio sacro”; un’estensione dell’artista che va conservata, protetta e venerata all’interno di uno spazio inviolabile: il museo.

Sul finire degli anni ‘60 (per l’esattezza tra il 1967 e il 1968) su suolo americano questa necessità di “uscire” dagli ambienti museali e di rendere il pianeta una “grande tela” trova la sua concretezza con la nascita del movimento della Land Art. Un movimento che mira a un definitivo sfondamento dei confini tradizionali della pittura e della scultura, che rimangono pratiche di indubbia importanza, ma non più pratiche dominanti del fare artistico. La Land Art mira, infatti, alla creazione di un nuovo e diretto rapporto tra arte e vita, cerca un coinvolgimento concreto della realtà oggettuale quotidiana, alimenta un’apertura provocatoria della cultura di élite all’universo delle culture di massa e porta avanti un processo di riflessione sui limiti dei linguaggi artistici e del sistema dell’arte[2].

Tale approccio trova la sua definitiva consacrazione alla fine degli anni Settanta quando gli artisti della new wave americana e le loro esperienze nel settore della Street art, del Graffitismo e della cultura underground vengono inseriti tra le nuove forme più d’avanguardia grazie al grande lavoro teorico-critico condotto da diversi studiosi[3].

Nel corso degli anni ‘80 questo rapporto tra arte e vita diventa una consuetudine, l’opera costituisce una parte integrante della società e i linguaggi contemporanei entrano totalmente nella quotidianità. L’arte valica i rigidi confini delle mura museali, le periferie diventano le nuove location per un vero confronto con il processo artistico ed è proprio qui che la democratizzazione dell’esperienza estetica giunge al suo totale compimento.

In un quadro socio-culturale che eredita quanto sinteticamente ricostruito sino ad ora si colloca la ricerca di Nicholas Tolosa, artista salernitano, autore di un intervento urbano ispirato al Prosopon, la maschera che nell’antica Grecia gli attori usavano sulla scena teatrale. Il suo lavoro è visibile solo dal cielo, sul tetto di un palazzo di otto piani nel quartiere Miano, nella periferia Nord di Napoli. L’opera è di 383 x 647 cm e si ispira ad un particolare del mosaico romano ritrovato nella Casa del Fauno a Pompei, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

La “maschera” di Tolosa è realizzata con materiali utilizzati abitualmente nell’edilizia come ad esempio l’asfalto liquido e la vernice da esterno per cemento, applicati direttamente sulla guaina del tetto.

L’autore utilizza il bianco, il grigio e il nero per creare un effetto bidimensionale in contrasto con la volumetria espressa dalle sfumature del mosaico originale.

Prosopon è parte di una trilogia di “grandi affreschi” che portano fuori dagli ambienti museali il patrimonio archeologico e artistico partenopeo.

Nicholas Tolosa ripartendo dalle riflessioni manzoniane attraversa 40 anni di storia dell’arte cogliendo tutti quegli aspetti che possano essere funzionali alla sua ricerca artistica. Come per la “Base del mondo” l’artista salernitano chiede al suo pubblico di “cambiare” punto di vista, di osservare la sua opera a diversi metri d’altezza. Anche in questo caso, così come per alcuni interventi di Land Art, il pianeta si trasforma in una “grande tela”. Tolosa regala la sua opera non solo all’uomo ma anche al Cielo, e la scelta del Prosopon evidenzia la volontà dell’artista di consegnare al mondo emozioni.

La parola prosōpōn, nei vari passaggi di significato (inizialmente sentimento, poi personaggio teatrale e infine persona)[4] in Tolosa diventa omaggio all’essere umano; quell’opera d’arte unica tanto cara a Piero Manzoni.

La decisione di realizzare un intervento simile in un’area urbana periferica rafforza ulteriormente il concetto di omaggio all’uomo. È proprio nelle periferie, così come accadde nell’Arte di Frontiera americana, che il processo artistico si fa più vero, perché è nei luoghi più “marginali” che risiede la verità, tra coloro che realizzano arte e coloro che la fruiscono[5].

Tolosa con le sue scelte contribuisce a quel processo di democratizzazione dell’atto creativo, “porta” nei quartieri popolari l’oggetto museale che finalmente viene riconsegnato al suo giusto contesto.

Il Prosopon era una maschera del popolo per il popolo, il teatro era un’occasione per “fuggire”, anche se per poco tempo, dalla routine di tutti i giorni. La commedia così come la tragedia erano per le civiltà greco-latine un dono per la gente, una via di fuga per emozionarsi[6].

Tolosa riconsegna al popolo queste emozioni e lo fa ringraziando il Cielo per aver reso l’uomo un essere sensibile.

Continua così nella bellezza e nell’inclusione la narrazione culturale del MAV/il Museo Archeologico Virtuale di Ercolano che, a poche centinaia di metri dagli scavi archeologici dell’antica Herculaneum, rappresenta un centro di cultura e di tecnologia applicata ai Beni Culturali e alla comunicazione tra i più all’avanguardia in Italia, grazie alla magia tecnologica dell’ultima versione  MAV 5.0 – Virtual multiReality, la più avanzata di sempre che, da ottobre 2019, ha rivoluzionato radicalmente il modo di vivere l’esperienza conoscitiva del viaggio virtuale nella vita e nello splendore delle principali aree archeologiche di Pompei, Ercolano, Baia, Stabia e Capri, per meglio comprenderne il passato e la bellezza in un viaggio propedeutico alla visita ai siti archeologici en plein air del territorio campano.

 

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