Con la filosofia le anime si ritrovano nel carcere di Aversa
di Angelo Cirasa
“La filosofia mi sproporziona la mente”, dice Vito. “Così, grazie a Socrate, ho ritrovato l’anima”, racconta Vincenzo, il più anziano con i suoi 72 anni. Sono solo due delle riflessioni che i ristretti della casa di reclusione “Filippo Saporito” di Aversa hanno rivolto al pubblico che si è raccolto nella sala teatro per ascoltare i lavori scritti dai sedici uomini che hanno partecipato al progetto “Piccolo teatro filosofico” che la professoressa Giuseppina Giuliano (Agorazein, Philosophy for Community a cura deI Crif, centro Ricerca Indagine Filosofica) porta avanti da anni.
I ristretti sono partiti da una rielaborazione della Tempesta di Shakespeare, quanto di più complesso e ricco possa esserci per spiegare l’animo umano, spiega Riccardo Marotta, regista che ha curato il lavoro teatrale messo in scena che appunto si chiama “L’anima ritrovata”. Qui c’è il disagio e il dolore ma c’è anche la speranza e soprattutto l’anima degli uomini. Anima che è stata al centro delle riflessioni anche di chi è intervenuto dopo i ristretti che hanno commosso il pubblico e i familiari. Commozione che ha coinvolto anche il filosofo ligure Simone Regazzoni che ha voluto partecipare a questa giornata facendo un tour de force dalla sua Genova e ritorno. “L’anima spesso la teniamo da parte, non ci occorre per compilare moduli o costruire sedie, per giorni, mesi, talora anni è messa da parte. Qui invece l’ho potuto percepire e bisogna passare attraverso il poros, il dolore e la fatica per raggiungere l’obiettivo”. Ma l’obiettivo è importante, è forte, essenziale oggi per chi lì dentro sta provando a fare emergere l’anima, la potenza della filosofia che aiuta anche un altro dei ragazzi “che conta tre passi e altri tre passi per dimensionare il proprio spazio in cella” spiega, come a un altro sembra di “evadere. Insieme oggi nella saletta sentiamo un po’ il profumo della libertà”.
Si vede che la loro vita è cambiata e lo spiega chiaramente Ciro, uno dei ristretti che riesce a capire che dare fiducia a questa professoressa ha dato una svolta alla propria detenzione e lo ha fatto intendere ad altri magari più scettici. Lo testimonia l’affetto che si vede nei loro occhi, nella curiosità degli altri trenta quaranta detenuti che sono venuti ad ascoltare e vedere questo lavoro, negli occhi dei familiari che scorgono commossi il cambiamento che può consentire a queste persone di proseguire la detenzione in modo diverso, con la speranza che anche loro possano avere una seconda opportunità. E intanto sopportano meglio la detenzione, con maggiore coscienza, con la volontà di rispettare il loro destino. Gli occhi, gli sguardi di questi uomini tutti condannati in via definitiva per reati comuni, con una prospettiva non troppo lunga di detenzione, sono cambiati. Alcuni hanno cominciato già due anni fa e sentono di essere persone diverse e sono orgogliosi di mostrarlo. Eppure il carcere è un ambiente difficile, dove i muri si alzano, dove le lacrime, le debolezze, devono essere nascoste, dove il giudizio, il dito puntato verso il colpevole è la norma. Eppure dietro quel dito puntato contro gli altri altre tre sono puntate verso se stessi, commenta ancora Riccardo Marotta che continua a fare domande e cita tutti i nomi dei “ragazzi” (Alessandro C., Pasquale T., Giovanni C., Pasquale F., Giuseppe F., Carmine B., Mauro R., Giovanni F., Domenico M., Ciro I., Massimo D., Vincenzo E., Sabatini G., Vincenzo T., Antonio G., Michele C.,).
Quelle domande che non finiscono mai e alle quali i ristretti inizialmente chiedevano risposte alla “maestra” Pina che ha sempre risposto con altre domande, quelle necessarie per far nascere dubbi e altre domande ancora. E soprattutto a far comprendere con il tempo che a quelle domande ciascuno deve rispondere da solo, magari con altre domande.
Una giornata potente di riflessione e ascolto resa possibile anche grazie alla professoressa della Università Federico II Maura Striano (oggi anche assessore alla pubblica istruzione del comune di Napoli), e al professor Antonio Cosentino, (entrambi hanno dato un contributo essenziale con il CRIF a portare in Italia queste pratiche filosofiche di comunità, P4C) a Giuseppina Russo, presidente del Festival della Filosofia in Magna Grecia, ad Angela Giuliano, Sara e Andrea che hanno collaborato al percorso dedicato ai ristretti. Un progetto reso possibile grazie alla visione della direttrice della casa di reclusione Stella Scialpi, a Giuseppina Cammisa (Addetta alla Direzione), al Capoarea educativa Angelo Russo che ha portato i suoi saluti e l’emozione di veder realizzato il progetto, alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria guidati dal comandante Francesca Acerra, figlia d’arte con la grande consapevolezza di poter fare tanto per queste anime che entrano disparate e spesso sprofondano ancor più nella loro rabbia. Rabbia che in questa pattuglia di uomini che invece hanno scelto di mettersi alla prova ha funzionato da motore positivo per rinascere, per ritrovare quell’anima che, come molti altri fuori da quelle mura, hanno dimenticato.