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Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli

di Manuela d’Angelo


Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli

Il ministro per i Beni culturali Gennaro Sangiuliano, insieme al vicario per la cultura della Curia di Napoli padre Adolfo Russo, ha inaurati in anteprima per la stampa, la mostra “Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli”, la prima monografica a Napoli dedicata alla pittrice. È intervenuto il professor Pierluigi Leone de Castris curatore della mostra.

 

L’attività di Artemisia Gentileschi (Roma 1593-Napoli post 1654) a Napoli copre venticinque anni e – per quanto interrotta dal soggiorno a Londra (1638-1640) – rappresenta la tappa più lunga della sua carriera di pittrice. A Napoli, specie sino al 1638, ella dové riuscire, come a Firenze e a Roma, ad alimentare la sua fama, mantenendo una corrispondenza con prestigiosi intellettuali suoi amici come Galileo Galilei o Cassiano dal Pozzo, ricevendo visite da viaggiatori stranieri.

Nonostante l’importanza e il numero degli anni trascorsi in città tra il 1630 e il 1654, Napoli non ha mai però ospitato un’esposizione monografica dedicata alla sua vita e alla sua carriera o un approfondimento dedicato alla sua formazione, al rapporto con l’opera del padre Orazio o con la lezione di Caravaggio. La mostra ora organizzata al Museo Diocesano di Napoli, con il sostegno della Regione Campania, vuole provare a risarcire questo vuoto, collegando l’attività napoletana alla formazione e alle tappe fiorentine e romane della carriera di Artemisia, e a presentare così ai napoletani e a un più vasto pubblico – grazie agli importanti prestiti di opere talvolta molto note e talvolta ancora poco conosciute o del tutto sconosciute, come diverse Giuditte e Santa Maria Maddalena, ottenuti dalle Gallerie degli Uffizi e di Pitti, dal Museo di Capodimonte, da altri musei e fondazioni e da alcuni collezionisti privati – le origini e il percorso di vita e d’arte di questa straordinaria figura di donna e di pittrice, che tanta parte ha avuto nella formazione del linguaggio degli artisti meridionali del “secolo d’oro”.

 

Quello di Artemisia Gentileschi è oggi un nome di grande richiamo, e molto numerose sono state, specie negli ultimi due decenni, le mostre monografiche a lei dedicate in tutto il mondo, da Firenze (1991) a Roma, New York e Saint-Louis (2001) e da Milano (2011), Parigi (2012) e Roma (2016) sino a Londra (2020). Difficile è discernere quanto di questo crescente successo si debba alla sua avvincente vicenda umana e biografica, alla sua rara figura di donna pittrice, alla nota vicenda dello stupro subìto dall’altro pittore Agostino Tassi, al mito femminista di “donna forte” e all’interpretazione delle sue crude versioni del soggetto di Giuditta che taglia la testa ad Oloferne come proiezioni del suo desiderio di rivalsa e di vendetta, e quanto si debba invece all’effettiva e ormai riconosciuta grandezza della sua arte. Certo è che Artemisia, figlia del celebre artista pisano Orazio Lomi Gentileschi, già nel 1610 forniva a Roma le prime prove del suo talento, della sua fedeltà e della sua peculiare interpretazione del naturalismo di Caravaggio e del suo stesso padre Orazio. Certo è che le sue tante Giuditte, a cominciare da quella precoce del Museo napoletano di Capodimonte sino quelle della Galleria Palatina e della Galleria degli Uffizi a Firenze, rappresentano forse la traduzione più efficace, originale e violenta del soggetto per almeno due volte prescelto da Caravaggio.

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